Photo © RENATO VITTURINI

Nella serie di interviste dedicate all’approssimarsi dell’Expo 2015 abbiamo cercato di affrontare i principali temi che saranno oggetto dell’evento secondo approcci e punti di vista differenti, anche in relazione al dibattito che sta accompagnando la sua preparazione. In questa conversazione il collegamento all’evento è senz’altro meno diretto ed evidente, ma forse più profondo e stimolante. Parlare della ricostruzione dell’Aquila significa risalire alle origini del significato delle città in relazione alle comunità che le abitano ed è per questo che invitiamo il Sindaco dell’Aquila Massimo Cialente a raccontarci la città prima e dopo il sisma.

L’Aquila era una delle tante città di provincia che, pur con tutti i difetti della provincia italiana, aveva il grande pregio che tutti ci si conosceva e ci si frequentava. Indipendentemente dal ceto sociale, ognuno di noi aveva un ruolo e una funzione sociale riconosciuti, e questo si rifletteva nel calore e nell’intensità dei rapporti umani. L’Aquila era una città con un’alta qualità della vita, un luogo molto vivibile. Storicamente era nata come città di fondazione e questa sua impronta era rimasta viva nel tempo caratterizzandola come capoluogo di una città-territorio costellato da una molteplicità di centri, comuni e frazioni, ognuno con una individualità ben distinta. Nel 1927 l’Aquila accorpa sette comuni (Castelli) della sua prima cintura diventando uno dei comuni più grandi d’Italia al quale fanno riferimento 63 comuni distribuiti sul territorio. Prima del sisma L’Aquila era la quarta città universitaria in Italia, se si considera il rapporto tra studenti e residenti, e possedeva un patrimonio culturale – sia dal punto di vista degli edifici e delle opere d’arte che da quello delle istituzioni culturali di livello nazionale e internazionale – che nel suo insieme pareva quasi sovradimensionato rispetto alla massa critica del nucleo abitato.

Un modello urbano e territoriale ben definita nei suoi confini e nelle sue caratteristiche, una città-territorio. Quali erano le dinamiche che la caratterizzavano?

Questo modello territoriale era stato confermato nel secondo dopoguerra con la nascita del polo elettromeccanico Siemens-Italtel, nella logica delle partecipazioni statali, uno stabilimento tra i più importante per la telefonia a livello nazionale dove in certi periodi lavoravano più di 5000 addetti. Non c’era famiglia che non avesse un posto di lavoro in fabbrica e questo ha portato alla scomparsa dell’agricoltura e di gran parte delle attività artigianali. Negli anni settanta all’industrializzazione si accompagna l’edificazione selvaggia della periferia, dove i lavoratori dei comuni della provincia si potevano permettere di acquistare una seconda casa. L’adozione del primo piano regolatore negli anni settanta ha frenato questo fenomeno di diffusione urbana e oggi gli abitanti del capoluogo hanno in media sessanta metri quadrati di verde a testa, quelli dei comuni della provincia oltre ottanta. Tuttavia anche questo piano era fondato su previsioni che si sono rivelate errate, con il vincolo di vaste aree a destinazione produttiva, servizi pubblici e parcheggi, come se l’Aquila dovesse crescere all’infinito con la stessa logica degli anni sessanta e settanta.

 Questa è il quadro urbanistico generale. Quali erano i programmi con i quali si è presentato ai  cittadini in occasione delle elezioni?

Il programma della nostra amministrazione era di varare un nuovo piano urbanistico che tenesse conto dei grandi mutamenti che si erano verificati negli ultimi decenni e per rilanciare lo sviluppo della città. La mattina del 5 aprile del 2008 stavo lavorando sulla versione finale del documento programmatico che avrebbe introdotto il nuovo piano di sviluppo urbanistico quando il terremoto ha distrutto la città.

Nei due anni che sono trascorsi dal sisma il tema della ricostruzione è tristemente diventato argomento di contesa politica. Per alcuni procede speditamente, per altri a rilento o non procede affatto.  Quali sono i dati ufficiali più aggiornati [a fine febbraio n.d.r.]?

Per quanto riguarda la popolazione a oggi sono 23.126 le persone sistemate in alloggi direttamente a carico dello Stato. 13.931 si trovano nei 19 nuovi quartieri del cosiddetto progetto Case realizzati dal dipartimento di Protezione Civile e situati in altrettante aree del territorio aquilano, poste tra i 5 e i 15 chilometri dalla città. Sono invece 2.883 le persone che hanno trovato ospitalità nei Moduli abitativi provvisori (Map), piccole strutture abitative realizzate nelle 21 frazioni del Comune dell’Aquila, allo scopo di non disperdere queste comunità.
Le persone alloggiate in Map posti negli altri 56 Comuni del cratere sismico sono 4.244.
829 persone sono alloggiate in abitazioni, singole o condominiali, del cosiddetto Fondo Immobiliare, ossia alloggi acquisiti dalla Protezione Civile e assegnati alla popolazione sfollata.
783  persone vivono in abitazioni con affitti a carico della Protezione Civile (cosiddetti affitti concordati) all’interno del Comune dell’Aquila, e 394 quelle nei Comuni del cratere. 62 persone hanno trovato ospitalità in strutture comunali dei Comuni del cratere.
Oltre alle persone ospitate in strutture pubbliche 14.352 persone usufruiscono del contributo di autonoma sistemazione mentre 1.397 sono ancora ospitate in strutture ricettive (alberghi, ma anche residenze sanitarie assistite per anziani), situate per lo più (1007) nella Provincia dell’Aquila e per il resto sulla costa abruzzese o fuori regione (31).
Infine 307 persone sono alloggiate in strutture temporanee: 229 presso la caserma della Guardia di Finanza dell’Aquila e 78 presso la caserma Pasquali Campomizzi, sempre all’Aquila.

E per quanto riguarda la ricostruzione?

Il Comune dell’Aquila ha rilasciato finora 10.000 contributi definitivi per lavori di riparazione di edifici classificati, all’esito delle verifiche di agibilità, in categoria A,B, C (quelli cioè che non hanno riportato danni strutturali). Per le abitazioni in categoria E, quelle più danneggiate, le proposte di intervento potranno essere consegnate fino al 30 giugno. [In categoria D erano stati posti immobili che dovevano essere oggetto di successive verifiche ai fini dell’agibilità. All’esito di questi secondi sopralluoghi sono stati classificati in una delle categorie A,B,C oppure E n.d.r.]
Attualmente oltre  l’80% per cento degli edifici del centro storico della città dell’Aquila sono stati messi in sicurezza, attraverso opere provvisionali di puntellamento e quasi tutto il centro storico è uscito dalla zona rossa.
Ai fini degli interventi di ricostruzione il Comune dell’Aquila ha individuato sei aree poste ad anello intorno al cuore della città antica in cui i lavori possono essere avviati a breve. Il 28 febbraio scadevano i termini di presentazione delle proposte progettuali, sulla base delle quali il Comune elaborerà i piani attuativi di intervento. Lo spirito è quello di una ricostruzione partecipata, secondo modalità e processi condivisi. Finora al Comune sono pervenute 210 proposte di intervento per il recupero di altrettanti edifici posti in queste aree. Fermo restando gli standard di sicurezza sismica, l’idea complessiva è quella di privilegiare il restauro conservativo all’abbattimento e successiva ricostruzione.
A Gennaio il consiglio comunale ha approvato una mozione, successivamente fatta propria anche dal consiglio provinciale, per l’individuazione di un’area del centro storico, comprendente l’asse longitudinale corso Vittorio Emanuele II – corso Federico II e piazze limitrofe (piazza Duomo, piazza Palazzo), dove far partire al più presto i lavori di recupero, da affidare con procedure snelle a ditte che si impegnino a lavorare a ritmo serrato (come è stato nell’estate 2009 per il progetto Case), in modo da non impiegare più di 12 mesi per la realizzazione del progetto.

Dalle cifre emerge un grande sforzo che dovrebbe portare  al recupero completo del centro storico dell’Aquila e della sua funzionalità in temi ragionevoli. A parte la questione della sua ricostruzione fisica, che visione ha del futuro della città?

In una recente conferenza a Bruxelles mi è stata posta la questione di come ricostruire la città.  Prima di affrontare questo tema è importante chiarire che cosa e perché deve essere ricostruito e su queste riflessioni si innestano poi le vicende della ricostruzione promossa dal governo immediatamente dopo il sisma, secondo il piano previsto dalla protezione civile. Quando incontrai il premier nei giorni dopo il sisma mi fu detto che tutto era già predisposto e mi fu addirittura indicata un’area nella quale si prevedeva di concentrare le nuove costruzioni per chi non poteva rimanere nelle proprie abitazioni, seguendo la logica delle new town. Per chi conosce la realtà dell’Aquila questo era assolutamente impensabile, perché, come le dicevo all’inizio, ogni abitante è legato al proprio comune e alla propria frazione.

In effetti  una situazione molto singolare, perché se penso ai comuni e alle frazioni delle periferie delle città italiane, non vi associo una così profonda identità e tanto meno un attaccamento. Quasi sempre si tratta di un ripiego, visto che non ci si può permettere di vivere in zone più centrali. 

A l’Aquila non è così. Gli abitanti sono molto legati ai luoghi dove abitano,  abbiamo associazioni e Pro loco in ogni frazione ed è impensabile spostare un abitante da una località ad un’altra. Lo stesso ragionamento si è dovuto fare per le tendopoli. Laddove la protezione civile voleva concentrare l’intervento in pochi grandi campi abbiamo richiesto e ottenuto che i campi fossero allestiti nei pressi dei centri abitati, frazione per frazione, per ospitare le famiglie il più vicino possibile alle loro case.  Per questo le nuove costruzioni sono state realizzate in vari punti attorno alla città ed è mia intenzione di dotarle dei necessari servizi per farle diventare dei piccoli centri urbani sul modello delle frazioni esistenti.

Per quanto riguarda il centro storico vale la regola del “dove era, come era”. Restauro e ricostruzione del centro storico in tutte le sue parti di valore mentre per alcune parti che erano compromesse insieme alla cittadinanza stiamo vagliando nuove ipotesi progettuali. Questi nuovi progetti dovranno inserirsi nella logica del piano strategico che era in preparazione prima del terremoto e che ci apprestiamo a discutere in consiglio comunale.

La mia visione di sviluppo fa leva su alcuni temi chiave: turismo, cultura, ricerca e innovazione. L’Aquila sarà città della cultura, dove l’università e la ricerca avranno un posto centrale. Vogliamo attrarre giovani ricercatori in ogni disciplina scientifica, offrendo loro le migliori condizioni per lavorare, valorizzandola nostra collocazione in un contesto naturale straordinario, ma anche vicini alla capitale e a importanti aeroporti. Contemporaneamente vorrei attrarre giovani creativi italiani e offrire loro la possibilità di fare esperienze al di fuori del loro ambito disciplinare e contesto culturale. Non bisogna poi dimenticare che la ricostruzione avrà bisogno di molta mano d’opera, che necessariamente dovrà venire da fuori e essere accompagnata dalle famiglie. La mia immagine della ricostruzione dell’Aquila è quella di una città piena di giovani e di attività rivolte al futuro, almeno per un periodo di dieci anni, per trovare un rimedio alla diaspora dei cittadini di oggi e una prospettiva per quelli di domani. Una città giovane e internazionale.

In queste sue riflessioni che ruolo ha la comunità dei cittadini? Come è strutturata la loro partecipazione alla vita pubblica?

Ci si riunisce in assemblee, paese per paese e la mia sensazione è abbastanza positiva. Certo spesso i problemi e le questioni contingenti, che purtroppo sono ancora moltissime, prendono il sopravvento e allora qualcuno mi suggerisce di portare avanti le iniziative che abbiamo pianificato senza perdere tempo. Io però rimango dell’idea che la cittadinanza deve essere informata e partecipare alle scelte. I pericoli di un processo di radicale rinnovamento come quello che stiamo mettendo in opera sono molti perché per esempio chi ha pochi mezzi per partecipare alla ricostruzione rischia di essere espulso dal centro storico a favore di chi ne ha di più. In ogni ambito dobbiamo trovare un punto di equilibrio tra conservazione e sviluppo.

Per concludere vorrei chiederle un parere sull’Expo del 2015 a Milano. Che cosa ne pensa e quali sono le sue proposte?

Io credo che per l’Expo del 2015 Milano insieme al resto del paese dovrà mostrare il meglio di sé e quello che è capace di fare ai milioni di visitatori che verranno nel nostro paese. I pochi anni che ci separano da questa manifestazione saranno fondamentali per Milano, per l’Italia e, anche se per motivi diversi, per l’Aquila. La ricostruzione della nostra città, soprattutto dopo che è stata sede del G8, è un importante banco di prova che richiama molta attenzione a livello nazionale e internazionale. Io spero che arriveremo tutti a raggiungere gli obiettivi che ci siamo preposti e sono certo che la nostra città sarà pronta a ricevere tutti i visitatori che ne saranno attratti con grande professionalità e ospitalità.

Pubblicato in AL 482 di Marzo/Aprile 2011. Clicca su Massimo Cialente x AL per scaricare il file pdf